Dante e la vicenda “delle ossa estravaganti”

Giovedì 28 gennaio sono iniziate le nostre “Conversazioni sulla città e il territorio tra ieri, oggi e domani” e come primo relatore abbiamo avuto il piacere di ospitare nella nostra “aula virtuale” Giovanni Gardini. Con un intervento ricco di spunti e di osservazioni estremamente interessanti e rigorose, dal punto di vista storico e scientifico, ma al contempo curiose, Giovanni ci ha descritto la complicata vicenda delle ossa di Dante e del loro fortuito ritrovamento nel maggio del 1865 quando, durante i lavori di risistemazione dalla zona dantesca in vista delle celebrazioni del 6° centenario della nascita del Sommo Poeta, la cassetta di legno, contenente le preziose reliquie, fu rinvenuta dall’operaio Pio Feletti.

Come Giovanni ci ha raccontato nel corso del suo intervento, il Feletti credeva, in verità, di aver riportato alla luce il famoso tesoro dei frati. All’indomani della frettolosa partenza dei francescani nel 1810, a causa delle soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi, si era diffusa tra i ravegnani la notizia di un imprecisato tesoro nascosto dagli stessi frati nelle immediate adiacenze del loro convento.

Alla seconda martellata si udì un cupo rimbombo, che accennava non più alla dura pietra, ma più precisamente all’esistenza nel cavo del muro di un legno vuoto. Il Feletti gridò allora abbastanza forte per essere udito e nel più piatto dialetto romagnolo: ai sè, burdel (ci siamo, ragazzi) volendo certo alludere alla speranza sua di rinvenire in quel muro un tesoro […]. Dette queste parole, menò di gran forza un colpo spietato sulla pietra esterna del muro, che in parte si sfasciò, lasciando cadere in grembo al Feletti, che nella posizione in cui era facilmente l’accolse, una cassetta di legno contenente ossa umane. Tradito nella sua speranza, il Feletti diè in un’imprecazione popolare punto pietosa e fece atto di gettare cassetta ed ossa […]. Si fu allora che il giovine Matteucci gridò dal luogo, ove noi eravamo, al fortunato muratore: fermati: v’è dello scritto sulla cassetta […]. A queste parole del Matteucci il Feletti alzò la cassetta fino a noi e la ripose in braccio del Matteucci stesso, che lesse le famose parole: Dantis ossa”.

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