Bologna e il Michelangelo che non c’è

E’ cosa nota che Bologna conservi alcune delle prime opere di Michelangelo Buonarroti. Nel 1495 infatti, in fuga da Firenze dopo la caduta dei Medici, il giovane artista trovò ospitalità presso Giovan Francesco Aldrovandi. Per sua intercessione gli furono commissionate tre sculture destinate all’arca di san Domenico nell’omonima chiesa: un angelo reggicandela, il San Petronio e il san Procolo, che ancora oggi possiamo ammirare nella visita a quello straordinario capolavoro.

Meno noto è che Michelangelo realizzò una seconda opera per la città felsinea, alcuni anni più tardi. È il novembre 1506 quando papa Giulio II, cacciati i Bentivoglio, entra trionfalmente a Bologna. Alcuni giorni dopo lo raggiunge Michelangelo.

Bologna – Arca di San Domenico

Lungo, complesso e conflittuale fu il rapporto fra il Buonarroti e il suo celebre committente, costellato da momenti di grandi intesa e liti focose. Nel marzo 1505 il pontefice aveva chiesto allo scultore di realizzare il proprio monumento funebre, un titanico mausoleo che doveva campeggiare al centro della basilica di San Pietro, ornato da più di quaranta statue marmoree e rilievi bronzei. Michelangelo era entusiasta, era la sua grande occasione, il momento di dar prova di tutto il suo valore e del suo eccezionale talento nella creazione di un’opera immortale. Partì immediatamente per Carrara, dove si trattenne sei mesi scegliendo personalmente ogni singolo blocco di pietra. Ma al suo rientro a Roma grande fu la delusione nello scoprire che, durante la sua assenza, l’attenzione del papa si era spostata dalla tomba all’edificazione della nuova basilica petroniana. Invano Michelangelo cercò un colloquio con il suo mecenate, che si negò ad ogni incontro. Nell’aprile del 1506 l’artista fu addirittura cacciato in malo modo dalle guardie pontificie. Troppo grande l’umiliazione per un uomo fiero e orgoglioso: egli fuggì riparando a Firenze, inseguito invano dai soldati di Giulio II. Nei mesi successivi iterate furono le pressioni del papa sul gonfaloniere di Firenze Pier Soderini perché l’artista fosse obbligato a fare ritorno a Roma. Alla minaccia di una guerra, Michelangelo dovette cedere e raggiungere il pontefice. In ginocchio, chiese perdono: “stavasene il papa a capo basso, nel sembiante turbato, quando un monsignore […] si volse interporre e disse: “Vostra santità non guardi all’error suo, percioché ha errato per ignoranza. I dipintori, dall’arte loro in fuore, son tutti così”. A cui il papa sdegnato risposte: “Tu gli di’ villania che non diciamo noi. Lo ‘gnorante sei tu e lo sciagurato, non egli. Levamiti dinanzi in tua malora”. Così il papa, “chiamato più a costo Michelangelo, gli perdonò” e gli commissionò una nuova opera: una propria statua colossale in bronzo da collocare sulla facciata di San Petronio, a simbolo di sottomissione della città riconquistata. La richiesta era in realtà una punizione, poiché l’artista non aveva pratica e poco amava tale materiale. Il lavoro lo occupò per quasi un anno. La statua fu terminata alla fine del 1507, ma ebbe purtroppo vita molto breve. Col rientro dei Bentivoglio a Bologna nel 1511, il monumento venne abbattuto e distrutto, i pezzi acquistati da Alfonso d’Este e rifusi per costruire una colubrina, denominata la Giulia.

 

Palazzo d’Accursio

Che tracce restano di questa impresa michelangiolesca? Per trovarle dobbiamo poter tornare a passeggiare in piazza Maggiore e, una volta lì, alzare lo sguardo verso la facciata di Palazzo d’Accursio: il Gregorio XIII di Alessandro Menganti che vi fa mostra di sé echeggia infatti, nelle posa e nelle forme, la memorabile fatica del maestro fiorentino.

 

Papa Gregorio XIII

 

Testo a cura di Marcella Culatti

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