Il mosaico e Niki de Saint Phalle

Esiste un’arte della profondità che sembra arrestare i confini dell’universo e della conoscenza, nutrirsi della meditazione dei pittori e tradurre gli intimi accordi che risuonano dentro di loro con una strana forza. È il linguaggio attraverso cui si esprimono, mediante l’alfabeto delle forme, la potenza dei sogni, la magia del passato, gli incantamenti del cuore

Henry Focillon, Hokusai

Purtroppo l’autunno ravennate 2021 non si tingerà dei riflessi d’oro e di luce della Biennale di Mosaico Contemporaneo, evento importantissimo durante il quale opere e artisti di tutto il mondo si incontrano nella città capitale del mosaico.

Per motivi legati alla pandemia da COVID-19, la VII edizione della Biennale è stata rinviata al 2022 nonostante le forti lamentele dell’AIMC (Associazione Internazionale Mosaicisti Contemporanei) e dell’associazione Dis-Ordine.

La Biennale di Mosaico Contemporaneo, che ha luogo dal 2009 ogni due anni, è un evento eccezionale durante il quale Ravenna apre, ad artisti di caratura internazionale, i suoi luoghi più suggestivi: monumenti, musei, chiostri e spazi simbolo della città diventano gallerie d’eccezione in cui arte antica e arte contemporanea sono in costante dialogo.

Cogliamo l’occasione, quindi, per parlarvi dell’ultima edizione della Biennale, svoltasi nell’autunno 2019, quando il Comune in collaborazione con il MAR, ha presentato a Ravenna per la prima volta un’opera dell’artista franco – statunitense Niki de Saint Phalle.

Un progetto a cura di Giorgia Salerno, un omaggio alla tradizione del mosaico ravennate attraverso una lettura contemporanea. Vanitas è stato il titolo scelto per il progetto che ha esposto, nei chiostri del MAR, una scultura in mosaico dalle grandi dimensioni raffigurante un teschio, realizzato da Niki de Saint Phalle nel 1988 con tessere in vetro specchiato e foglie di palladio.

 


Niki de Saint Phalle, Tête de mort I, 1988, ©NIKI CHARITABLE ART FOUNDATION. All rights reserved. Collection Niki Charitable Art Foundation, Santee

Nell’opera esposta al MAR, Tête de Mort I, Niki de Saint Phalle, svilisce la drammaticità della morte attraverso le grandi dimensioni della scultura e, ironicamente, afferma il superamento della fine con la continuità della vita.

Le tessere specchiate riflettono l’immagine di chi osserva, obbligando ad un confronto diretto, con il simbolo della fine, e contemporaneamente restituiscono la molteplicità dell’identità umana.

L’opera scelta, non casualmente per Ravenna città dei mosaici e dei mausolei, rimanda chiaramente all’iconografia della vanitas e ad un tema particolarmente connotativo per il territorio, quello della vittoria della vita eterna sulla morte.  I monumenti funerari cittadini, come il mausoleo di Teodorico, quello di Galla Placidia, la lastra sepolcrale di Guidarello Guidarelli fino alla Tomba di Dante, sono esempi di come la vita, la cultura e le testimonianze storiche abbiano prevalso sulla morte terrena.

Niki de Saint Phalle affronta l’iconografia del teschio scegliendo non solo la tecnica del mosaico ma utilizzando il potere riflettente dello specchio, inevitabile rimando all’arte musiva ravennate, che si caratterizza per la lirica della luce, grazie all’utilizzo di tessere in pasta vitrea e oro zecchino, trascendendo verso una dimensione ultraterrena.

Niki de Saint Phalle realizza quest’opera nel 1988 mentre è impegnata nella creazione delle sculture per il Giardino dei Tarocchi a Garavicchio, in Toscana. 

Parco artistico-esoterico unico nel suo genere, che l’artista definisce “un giardino di gioia”, il Giardino dei Tarocchi, viene aperto al pubblico nel 1998 dopo quasi venti anni dall’inizio dei lavori autofinanziati dall’artista (mediante la vendita di sue opere e di una sua linea di profumi che ebbe molto successo), ed espone 22 opere ciclopiche in acciaio e cemento, decorate interamente a mosaico con specchi, vetri e ceramica e dedicate ai simboli dei tarocchi, ai 22 Arcani maggiori.

 

La Ruota della Fortuna, carta n. X © Laura Gramantieri

Niki de Saint Phalle (Neuilly-sur-Seine, Francia, 1930) è la seconda di cinque figli dell’attrice francese Jeanne Jacqueline Harper e del banchiere André Marie Fal de Saint Phalle. L’attività finanziaria di famiglia subisce la crisi del 1929 e l’intera famiglia è costretta a trasferirsi a New York nel 1937. Qui Niki studia letteratura e teatro, posa come fotomodella per le riviste Vogue e Life e nel 1952 si trasferisce a Parigi con il marito, lo scrittore Harry Mathews. Scopre la pittura a seguito di una grave crisi nervosa durante la permanenza in una clinica di Nizza. Dal 1956 inizia la carriera di artista poliedrica con la sua prima mostra personale in Svizzera dove conosce l’artista Jean Tinguely, anni dopo suo collaboratore e secondo marito.

 

Niki de Saint Phalle, Stedelijk Museum, 1967

Donna colta e anticonformista, esponente del Nouveau Réalisme, ha dedicato la sua ricerca artistica principalmente alla figura femminile contrastando gli stereotipi sulla differenza di genere e affermando la libertà creativa attraverso la pittura, la scultura e il cinema. Ne sono esempi le sue ragazze (Nanas in francese), sculture monumentali di donne sinuose e colorate che realizza dal 1965, interrogandosi sul concetto di nascita e rinascita, suo personale contributo alla liberazione femminile (nello stesso anno in Francia una legge apre alla possibilità per la donna di lavorare senza il permesso del coniuge).

Le Nanas simboleggiano donne libere, sicure di sé, consapevoli del proprio potere, sono dee contemporanee. Una serie giocosa e vitale con cui Niki celebra il corpo femminile. La dimensione è già di per sé un manifesto. Lei afferma “dovevano essere grandi perché gli uomini lo sono e bisogna che loro lo siano di più”. Le Nanas rappresentano il mondo della donna amplificato, la loro follia di grandezza e la prefigurazione visionaria delle donne al potere, in un’utopica società matriarcale.

La fortuna di Niki non è dovuta solo al suo genio artistico ma anche alla sua capacità innovativa di sperimentare tecniche e materiali nuovi. A partire dal 1961 inizia a praticare una forma artistica tra performance e pittura chiamata Tiri o Shooting Paintings. Si tratta di rilievi in gesso bianco al cui interno vi sono sacchetti di vernice a colori che diventano bersagli a cui sparare con una carabina. L’esplosione dei colori cola sull’opera creando il quadro. Sparare diventa una funzione terapeutica per l’artista, alternativa all’azione distruttiva e vendetta personale nei confronti del padre, accusato da Niki di aver tentato di abusare di lei all’età di undici anni.

Nel 1966, per il Museo di Stoccolma, realizza una gigantesca Nana incinta (una vera dea della fecondità) denominata HON/LEI completamente in poliestere, di 28 metri di lunghezza, 6 metri di altezza e 9 metri di larghezza, stesa sul dorso come in procinto di partorire. Nel seno sinistro dell’opera viene installato un piccolo planetario mentre nel seno destro si trova un bar. I visitatori possono entrare nell’opera passando per la vagina suscitando, all’epoca, roventi polemiche. Infatti, dopo soltanto tre mesi, l’installazione viene demolita.

Niki muore nel 2002 a causa di un problema respiratorio dovuto ai gas tossici rilasciati dal poliestere, il materiale più amato da Niki per le sue opere.“È strano scoprire che un materiale che amo così tanto lavorare possa rivelarsi il mio stesso nemico mortale”.

Musei e istituzioni internazionali le hanno dedicato e continuano a dedicarle retrospettive e grandi mostre.

 

La Morte, carta n. XIII © Laura Gramantieri

Se capitate in Maremma non perdete l’opportunità di visitare il Giardino dei Tarocchi, un’esperienza davvero unica e indimenticabile per grandi e piccini.

“Nel 1955 andai a Barcellona e vidi per la prima volta il meraviglioso Parco Güell di Gaudì. Capii che mi ero imbattuta nel mio maestro e nel mio destino. Tremavo in tutto il corpo. Sapevo che anche io, un giorno, avrei costruito il mio Giardino della Gioia. Un piccolo angolo di Paradiso. Un luogo di incontro tra l’uomo e la natura. Ventiquattro anni dopo mi sarei imbarcata nella più grande avventura della mia vita: Il Giardino dei Tarocchi. Questo giardino si trova in Toscana su un terreno di proprietà dei miei amici Marella, Carlo e Nicola Caracciolo. Essi hanno approvato il progetto iniziale che però, nel tempo, ho continuato a modificare (…). Non appena iniziai a lavorare sul Giardino dei Tarocchi mi resi conto di essermi messa in un percorso arduo e pieno di difficoltà. Un attacco di artrite reumatoide mi impedì per un lungo periodo di usare le mani e di camminare. Ma andai avanti lo stesso. Nulla poteva fermarmi. Ero come stregata (…). L’Imperatrice divenne la mia casa e il luogo d’incontro per tutti coloro che lavoravano al progetto. Qui mi riunivo con l’équipe di lavoratori, mangiavo i miei pasti e lavoravo sui modelli delle altre carte. Nella “Sfinge”, il soprannome dato all’Imperatrice vivevo sola. Immergermi totalmente nel luogo era l’unico modo per realizzare questo giardino.

Oggi vedo che tutte queste difficoltà (la salute, le finanze, la solitudine) facevano parte dell’itinerario iniziatico che dovevo percorrere per avere il privilegio di creare questo giardino.

Il Giardino dei Tarocchi non è il mio giardino ma appartiene a tutti coloro che mi hanno aiutata a completarlo (…). Questo giardino è stato fatto con difficoltà, con amore, con folle entusiasmo, con ossessione e, più di ogni altra cosa, con la fede. Niente e nessuno avrebbe potuto fermarmi…”.

Niki de Saint Phalle

 

Il Sole, carta n. XIX © Laura Gramantieri

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